ESSERE
ANARCHICHE E FEMMINISTE OGGI.
di
Irène Pereira
(Irène
Pereira; sociologa, insegna scienze politiche, è militante anarchica, redattrice
della rivista Réfractions. Questo
articolo è stato pubblicato sul numero 24, primavera 2010, di quella rivista) Da
“libertaria” n.3-4 del 2010.
I rapporti fra anarchia e femminismo o
fra anarchici e femministe non sono mai stati, e non sono tuttora, univoci.
L’anarchia è solo una corrente politica che si dà per obiettivo la lotta contro
lo Stato e il capitalismo o integra tutte le forme di lotta per
l’emancipazione, all’interno delle quali si situa la lotta per l’emancipazione della
donna? Gli anarchici individualisti della Belle Époque [1] hanno potuto
sembrare all’avanguardia per un discreto numero di lotte che furono in seguito
riprese negli anni Sessanta e Settanta: contraccezione, amore libero… Tuttavia
negli anni Settanta, le militanti femministe non smettevano di criticare le organizzazioni
militanti di sinistra per il loro machismo, critica alla quale non sfuggivano
le organizzazioni anarchiche. Oggi sembra che la causa della donna sia parte integrante delle
organizzazioni anarchiche. Si potrebbe così pensare che il femminismo non sia
più oggetto di discussione, ma di concordanza di opinioni in seno agli ambienti
anarchici. Tuttavia i dibattiti che hanno attraversato il femminismo della
terza ondata sono anche oggetto di
controversie nelle organizzazioni anarchiche: come devono porsi gli anarchici di fronte al problema del velo? Come devono reagire di fronte ai problemi della
prostituzione e della pornografia? Nello stesso modo in cui negli anni
Settanta l’anticapitalismo dell’anarchia poteva essere messo in discussione dal
femminismo radicale, l’arrivo di nuove
teorie quali la queer o l’intersezionalità [2] porta anche a interrogarsi sul
modo in cui l’anarchia si rapporta alle diverse dimensioni dell’oppressione
della donna. In questo articolo mi
prefiggo pertanto di interrogarmi su quale posizione può assumere l’anarchia in
rapporto all’insieme di questi dibattiti, mostrando quale sarebbe la teorizzazione
che potrebbe oggi adottare per integrare le rivendicazioni femministe. A questo
fine dividerò la mia riflessione in diverse parti. Come prima cosa cercherò di presentare
i tratti salienti di un’anarchia femminista come io la concepisco, prima di tornare
specificatamente su di una serie di dibattiti che spero di chiarire a partire dalla
teorizzazione che avrò esposto.
Anarchia e femminismo Definizione
filosofica e politica dell’anarchia: L’anarchia etimologicamente
definisce da una parte, dal punto di vista filosofico, l’assenza di principio
primo e dall’altra, dal punto di vista politico, l’assenza del comando. La
definizione filosofica dell’anarchia designa di conseguenza il rifiuto di fondare
l’ordine sociale su di un principio primo, che sia Dio o la natura. La società non
presuppone un ordine
immutabile
che sarebbe dato una volta per tutte e che troverebbe la propria
giustificazione ultima o la propria essenza nella natura o in Dio. La società, quale
è, è una costruzione storica. La disuguaglianza fra gli uomini, fra gli uomini
e le donne o fra le «razze», non è un fatto di natura o il risultato di una
volontà di trascendenza, ma la conseguenza di avvenimenti storici contingenti. L’anarchia
presuppone quindi di partire dall’ipotesi filosofica che il mondo, e in particolare
il mondo sociale quale è, non trova il suo fondamento in un principio primo assoluto. Dal
punto di vista politico, l’assenza del comando significa che questa assenza di
principio primo assoluto comporta che i rapporti di disuguaglianza gerarchica, cioè
i rapporti di comando, non hanno un fondamento in sé stessi. Questo significa
quindi che i rapporti di comando fra gli uomini, fra le «razze», fra uomini e
donne o fra genitori e figli, fra esseri umani e animali, non poggiano su un fondamento
naturale. Di conseguenza l’anarchia, in
quanto pensiero politico, si basa su due idee:
1)
i rapporti di comando non sono fondati in modo assoluto;
2)
quindi è possibile costruire una società che non si fondi su rapporti di
comando.
Questo
non significa d’altro canto che l’autorità tecnica di una persona su un certo argomento
non abbia fondamento [3], ma che quest’autorità, legata a una competenza tecnica,
non determina un rapporto di comando e di obbedienza. Teorie dell’anarchia.
Detto
questo, quale teorizzazione dell’anarchia suppone questa definizione? Ho
proposto altrove [4] una tipizzazione
ideal-tipica dell’anarchia in tre principali correnti teoriche:
l’individualismo, l’anarcocomunismo e il comunismo libertario. Metterò in
parallelo queste tipologie con diverse correnti di femminismo, analizzate non
nella complessità delle posizioni delle protagoniste, ma in una prospettiva anche
qui ideal-tipica che ha per scopo di rendere più intelligibili le controversie.
Anarchia, femminismo e
individualismo: L’individualismo anarchico fonda
l’emancipazione sull’individuo. Questi si trova in lotta contro tutte le forme d’oppressione
che possono riguardarlo. Una donna individualista
anarchica si opporrà all’autorità e al controllo che la Chiesa fa pesare sul suo corpo e sulla
sua sessualità, sul dominio che suo marito o il suo compagno può tentare di
esercitare su di lei.
Tuttavia
l’individualismo anarchico non può costituire la teorizzazione adeguata per
pensare l’anarchia e ancora meno l’anarchia femminista. In effetti, questa corrente
presenta due limiti principali. Da un lato, presuppone che l’individualità sia
preesistente alla società. Di fatto suppone che sia possibile pensare l’emancipazione
in modo strettamente individuale o anche in opposizione agli altri o alla società
in genere. Sarebbe in questo modo possibile pensare l’individuo contro la società
[5]. Dall’altro, l’individualismo pensa che sia possibile trasformare le singole
persone concentrandosi su un’etica individuale senza trasformare le strutture
sociali, economiche e politiche. In realtà sarebbe sufficiente cambiare la
propria sessualità o il proprio rapporto con l’autorità. Se tutti gli esseri
umani modificassero il proprio comportamento individuale a partire
dall’adozione di un’altra etica di vita personale allora, per sommatoria,
sarebbe l’insieme della società che sarebbe portata a trasformarsi. È certo possibile
criticare le concezioni
che,
al contrario, non lasciano alcuno spazio all’iniziativa individuale nella trasformazione
della società, ma sembra difficile poter negare che, dato il carattere sociale dell’esistenza
umana, gli individui non siano immersi in relazioni e in forme di
organizzazioni economiche e politiche che non dipendano esclusivamente dal loro
desiderio individuale. Se trasferiamo le critiche che rivolgiamo
all’individualismo anarchico alle teorie femministe o legate al femminismo, ci
si potrà accorgere che le politiche queer, in particolare nella versione iniziale
che aveva loro dato Judith Butler [6], centrate sul fatto di realizzarsi nel
proprio genere, cioè di giocare il genere in modo da mostrarne il carattere
costruito, possono subire lo stesso tipo di critica. In effetti, rinviano la domanda
di trasformazione dei rapporti di genere a una pratica individuale, senza
articolarli esplicitamente in una dimensione politica ed economica.
Anarchia, femminismo e
universalismo: L’anarcocomunismo
basa sull’umanità nel suo insieme la trasformazione sociale. L’anarchia vuole
essere lotta contro le relazioni di potere gerarchico di cui la Chiesa, in
quanto istituzione di educazione morale e istituzione politica, è il modello
paradigmatico. Per l’anarco-comunismo esistono certamente dei rapporti di dominio
che non si limitano solo a quelli che esercitano lo Stato o il capitalismo, ma tutti
gli esseri umani, in quanto parte dell’umanità, hanno interesse a far finire questi
rapporti di oppressione [7]. Si può però dubitare che tutti gli esseri umani
abbiano un eguale interesse alla trasformazione dei rapporti sociali di
disuguaglianza. Associando oppressi e oppressori allo stesso discorso umanista
e universalista, si tende a cancellare questa realtà dei rapporti iniqui d’oppressione. Dal punto di vista delle teorie femministe,
il femminismo liberal-egalitario o repubblicano, che si basa su una concezione
universalista [8], può essere sottoposto allo stesso tipo di critica. In effetti,
in questa concezione di femminismo che ha dominato la prima ondata, si tratta
prima di tutto di fare della donna un uomo come un altro. Per questo tipo di femminismo
noi siamo in primis degli esseri umani e la donna deve essere uguale all’uomo sul
piano giuridico e politico. La dimensione che viene presa in considerazione è la dimensione politico-giuridica,
mentre le disuguaglianze economiche che pesano sulla donna e lo sfruttamento economico
che subisce non sono al centro delle preoccupazioni. Le rivendicazioni di questa corrente sono
imperniate ancora oggi sulla possibilità che le donne, provenienti dall’élite
del potere, accedano ai posti di potere politico ed economico. In tale
concezione, le misure legate alla parità o alle
quote possono essere percepite come contrarie all’ideale di un’umanità
universale infine riconciliata, poiché inserirebbero nella legge la differenza dei
sessi.
Anarchia, femminismo e
classi sociali: La
terza corrente dell’anarchia che ho individuato è rappresentata dal comunismo libertario.
Chiamo comunismo libertario ogni corrente anarchica che analizza la società in
termini di lotta di classe. Il comunismo libertario si pone come obiettivo la
distruzione del sistema capitalistico e dello Stato, che è strumento della
classe capitalista [9]. Il limite di questa corrente è di considerare la lotta
delle donne come derivata dalla lotta contro la proprietà e più specificatamente
dalla lotta contro il capitalismo. Le donne provenienti dal proletariato devono
allearsi prioritariamente agli uomini del proletariato per combattere contro il
sistema capitalistico, la fine del capitalismo definisce quindi la fine del
patriarcato. Questo rifiuto di rendere autonoma la lotta delle donne dalla
lotta anticapitalistica la si trova, per esempio, in seno alla Cnt (il sindacato
libertario spagnolo) che rifiutò nel 1938 di riconoscere quale componente specifica
le Mujeres libres, che peraltro si
appellavano solo a una concezione universalista [10]. Questa
concezione dei rapporti fra anticapitalismo e femminismo caratterizza quelle
teorizzazioni, come per esempio il marxismo, che ritengono prioritaria la lotta
contro il capitalismo rispetto alle altre forme di lotta per l’emancipazione.
In seno alle correnti femministe, questa posizione è chiamata femminismo lotta
di classe [11]. Il comunismo libertario
difende la possibilità per il gruppo oppresso di proletari di costituirsi quale
gruppo autonomo in seno a un’organizzazione di lotta, il cui modello costituisce
il sindacato. Ma tende a focalizzare la sua analisi sulla lotta
anticapitalistica, non tenendo in considerazione le altre lotte di emancipazione
o considerandole secondarie rispetto a quella anticapitalistica [12]. Di fronte
a questa riduzione della lotta di classe a lotta contro il capitalismo, il
femminismo radicale materialista [13] proclama l’autonomia della lotta della
donna. Esattamente come i proletari, che si vogliono riconosciuti quali
soggetti politici specifici e non vogliono vedere le proprie rivendicazioni ridotte
a un discorso umanista sulla fraternità universale, le donne rivendicano l’autonomia della propria lotta. La lotta
delle donne costituisce una lotta di classe poiché le donne subiscono uno
sfruttamento economico dovuto al sistema di produzione domestico. Questo
sfruttamento non può essere ridotto a quello del sistema capitalista: esso
consiste nel lavoro gratuito fornito per i lavori domestici e la cura dei
figli.
Verso un’anarchia femminista
radicale: Quale
concezione dell’anarchia mi pare adeguata per considerare la lotta della donna?
L’anarchia, l’ho detto, rifiuta di fondare su un principio filosofico assoluto
le disuguaglianze sociali e, fra queste, la disuguaglianza sociale fra uomo e
donna. A mio giudizio, solo un’analisi in termini di rapporto di classe
permette di tenere conto, senza cancellarli, i rapporti di oppressione che
regnano all’interno dei diversi gruppi. L’anarchia, in quanto socialismo radicale quale la considero, analizza la
società attuale come divisa in diverse classi sociali: classi economiche, di
sesso, di «razza», politiche… che si devono abolire. Le donne, allo stesso
titolo dei proletari, costituiscono una classe sociale oppressa autonoma. Ma
nessuna di queste classi è la classe che, da sola, potrebbe incarnare il
destino di liberazione universale dell’umanità: allo stesso modo in cui gli
operai e le operaie non rappresentano il soggetto universale di emancipazione,
così il patriarcato non è il nemico principale.
Il
secondo punto che mi sembra necessario sottolineare è che i sistemi di
oppressione (per esempio il sistema razzista, il sistema capitalistico, il
patriarcato o lo Stato) non possono essere analizzati esclusivamente in termini
economici o politici. La lotta contro l’oppressione deve essere al contempo
lotta contro lo sfruttamento, contro il dominio politico, ma anche lotta
culturale contro le stigmatizzazioni e le discriminazioni. Il sistema patriarcale
è quindi un fenomeno sociale totale, contemporaneamente politico, economico e
culturale. L’importanza di non
scollegare il problema dei costumi dalla dimensione economica può essere
esemplificato attraverso il fatto di sapere se la lotta contro
l’eteronormatività è una lotta che può
essere disgiunta dalle lotte contro il patriarcato. A mio avviso, le lotte LGBTI [14] non possono essere lotte autonome rispetto
alle lotte antipatriarcato. In effetti, il sistema patriarcale è quello che
determina il sessaggio della società che a sua volta porta alla norma
eterosessuale. Inoltre,
l’eteronormatività non è un sistema autonomo nella misura in cui non contiene
rapporti economici di sfruttamento, contrariamente al patriarcato. Le
lesbiche subiscono uno sfruttamento economico in
quanto donne, non in quanto omosessuali. I
transessuali Male to Female
subiscono, per esempio, le stesse perdite di salario di coloro che la società
ha sempre considerato donne. Al contrario, il movimento omosessuale maschile
che non espone rivendicazioni legate allo sfruttamento economico, ma
principalmente rivendicazioni legate a discriminazioni culturali, si trova
facilmente integrato dalla società capitalistica dei consumi, in cui il modo di
vita gay diviene motivo di vendita anche per gli eterosessuali.
Il
riconoscimento di una lotta autonoma delle donne passa dunque dal riconoscere alle
donne la possibilità di organizzare in modo autonomo la propria lotta. Ma questo
non significa, come abbiamo visto, che la lotta delle donne acquisisca per tutte
le donne lo status di lotta principale. Poiché una donna può essere anche proletaria
o vittima di razzismo, essa può avere interesse ad altri combattimenti che
possono essere antinomici con gli interessi di altre donne. Per esempio, una donna
proletaria, in quanto proletaria, può avere interesse a combattere una donna borghese.
Mi
sembra di conseguenza importante che, come esistono delle organizzazioni autonome di lavoratori, i sindacati, esistano
anche delle organizzazioni autonome di donne. Ma mi sembra altrettanto
importante che in sen o a queste organizzazioni autonome esistano delle
commissioni incaricate di far progredire le rivendicazioni legate alle oppressioni
di altri fronti di lotta. Per esempio, in seno a un’organizzazione femminista
vi può essere una commissione LGBTI, o una commissione antirazzista o, ancora, anticapitalistica. In effetti, i sistemi di oppressione che sono
il patriarcato, lo Stato, il capitalismo, o il razzismo, sono sì relativamente autonomi
gli uni rispetto agli altri, ma sono in interrelazione. Così il posto che un
individuo occupa in un sistema di oppressione può essere legato al posto che
occupa in un altro sistema di oppressione. Per esempio, le donne sono
sottomesse nel sistema patriarcale. Ma
quando hanno iniziato a essere una fonte di mano d’opera nel sistema capitalistico,
hanno continuato a essere marchiate dall’inferiorità nella quale sono tenute
dal sistema patriarcale. È nel nome di questa inferiorità, che sarebbe legata al fatto di fare figli, che le donne
hanno un salario nel privato mediamente inferiore del 25 per cento rispetto a
quello degli uomini (in effetti esse possono restare incinta e quindi far
perdere denaro alle imprese che le impiegano), hanno uno sviluppo di carriera
inferiore…
Anarchia e controversie femministe
: Proverò ora a
dimostrare che la concezione che ho fin qui rapidamente tratteggiato permette
di prendere delle posizioni anarchiche coerenti in seno alle controversie
che
si sono sviluppate in questi ultimi anni attorno a problemi legati al
femminismo, e che hanno anche attraversato gli ambienti anarchici.
Le
tre controversie per le quali cercherò di dare qualche indicazione di
posizione, che mi sembri accettabile da un punto di vista anarchico, hanno
opposto le femministe repubblicane e le femministe lotta di classe alle
femministe della terza ondata, molto spesso ispirate da teorizzazioni uscite da
quello che si definisce qualche volta postmodernismo (caratterizzato dal
costruttivismo sociale, dalla decostruzione dei sessi, dal relativismo delle
credenze, dalla critica dell’universalismo...).
Decostruire la differenza
dei sessi : L’anarchia
deve darsi come fine solo l’abolizione della disuguaglianza economica e politica fra uomini e donne, rimettere in
discussione il sessismo, oppure deve andare sino ad abolire le categorie di
sesso? Ho già prima mostrato che la disuguaglianza
sociale, per l’anarchia, non si può fondare su un principio naturale. Di conseguenza, la disuguaglianza fra i sessi
non può trovare il suo fondamento in una differenza biologica fra i sessi.
Quindi, significa che si deve andare sino a decostruire la differenza biologica
fra i sessi? Questa domanda coinvolge l’aspetto antropologico dell’anarchia
[15]. In realtà, se l’anarchia parte dal presupposto che ci possono essere
società senza governati e governanti, questo può portare a supporre anche la
possibilità di una società senza divisioni sessuali? L’anarchia possiede in
effetti un valore antropologico nella misura in cui tende a supporre che, anche
se pensiamo
che
ci sono sempre state delle società con lo Stato o fondate su di un potere
politico gerarchico, o che ci sono sempre stati dei ricchi e dei poveri, queste
affermazioni non sarebbero fondate di per sé stesse e che è possibile immaginare
delle società organizzate su altri principi. Questa portata antropologica dell’anarchia
arriva sino a decostruire la differenza biologica dei sessi? Considerando il sesso una separazione di
classe e non una separazione biologica, e sostenendo la nozione di classe di
sesso, tendo a supporre che effettivamente l’anarchia tenta di darsi per obiettivo l’abolizione
delle classi di sesso, in quanto gruppi economici, politici e culturali. Fare del sesso una categoria sociale non
significa negare che esistono delle differenze biologiche fra gli individui. Questo
non significa negare che più del 99 per cento degli individui ha degli organi
sessuali genitali che possono essere identificati per gli uni con il pene e per
gli altri con la vulva. Ma questo porta a interrogarsi sui rapporti fra categorie
sociali, categorie biologiche e realtà [16]. La posizione che suppone che si
possano decostruire le classi di sesso, e quindi abolire le categorie del
sesso, tende a considerare che le categorie non esistono di per sé nella
realtà, ma che sono delle costruzioni. Esiste una materia della realtà, ma
questa materia non è suddivisa nella realtà in categorie. C’è per esempio un
continuum fra la materia inanimata e quella vegetale, non una cesura radicale.
Così è stata per lungo tempo dibattuta la natura animale o vegetale delle spugne.
La stessa cosa si può dire per un discreto numero di esseri microscopici. Allo stesso
modo gli intersessuali, che mettono in rotta le categorizzazioni sessuali dei
biologi, mostrerebbero, secondo alcuni specialisti, che non vi è una rottura ma
una continuità biologica fra femminile e maschile [17]. Tuttavia, come sarebbe erroneo pensare che è
sufficiente abolire le categorie verbali per abolire le realtà socioeconomiche che
le sottendono, è a mio avviso scorretto pensare che potrebbe esistere un’uguaglianza
sociale reale fra gli esseri umani, senza che siano abolite le categorie che
sono gli effetti di queste disuguaglianze sociali e che servono per
denominarle. Sarebbe in verità contraddittorio che le categorie del proletario
e del borghese continuassero ad avere un senso in una società ove il sistema capitalistico
non esistesse più. Aspettando la
distruzione del sistema patriarcale e la conseguente abolizione delle classi di
sesso, le categorie di donne e uomini devono essere utilizzate dagli oppressi come
termini politici utili a designare chi è l’oppresso e chi l’oppressore sociale.
Sulla
questione del velo: Il cosiddetto affaire del «velo » ha lacerato
non soltanto l’area femminista [18], ma anche
l’area anarchica: il «velo» è un segno sessista patriarcale dell’oppressione della
donna da parte di una religione o è il segno di un razzismo di Stato nei
confronti di certe comunità di immigrati?
Alcuni anarchici, nel nome dei
diritti delle donne e della critica della religione, si sono schierati contro
il velo. Altri, in nome della difesa di minoranze vittime del razzismo e della
critica dello Stato razzista, si sono schierati contro la legge sulle insegne
religiose.
Come si può analizzare
questo problema e quale posizione può portarci ad assumere la concezione
dell’anarchia che propongo? Ho detto sopra che esistono diversi sistemi di oppressione
autonomi, ma che sono in ogni caso in interrelazione. Di conseguenza, propongo di
distinguere tre sistemi di oppressione per analizzare la situazione: il sistema
patriarcale, il sistema razzista e il sistema teologico-statale.
Quest’ultimo sistema designa
il fatto che lo Stato moderno si è costruito per omologia con la trascendenza divina,
ma anche il fatto che le religioni e gli Stati intrattengono dei rapporti complessi
per il monopolio del potere politico: rapporto di rivalità o mutuo sostegno. Le
religioni tendono a presentarsi come fatti sociali totali che tentano di
inglobare tutti gli aspetti dell’esistenza degli individui: economico, politico,
morale, sessuale, filosofico… Per questo motivo le religioni forniscono spesso delle
giustificazioni ai rapporti patriarcali. Si vede anche come possa esserci un’interazione
fra il sistema teologico-politico e il sistema patriarcale. Il velo può effettivamente
apparire quale giustificazione religiosa del sistema patriarcale. Ciononostante,
l’analisi dell’affaire del velo non può limitarsi a questo aspetto. Si tratta
della trasformazione, in concomitanza con la prima guerra del Golfo, di un fatto
minoritario in una faccenda nazionale. Quello che ci si chiede con tale
questione è il rapporto dello Stato francese con la religione. Lo Stato in
Francia alterna due giustificazioni del proprio potere: la iscrive o nella
storia cristiana della Francia, o nei valori repubblicani giacobini, laici e
universalisti. Lo Stato francese giustifica il proprio potere tramite la sua opposizione
agli altri Stati, agli Stati stranieri, ma anche in opposizione alle comunità che
potrebbero formare nel suo seno uno Stato nello Stato o un partito dello
straniero; in particolare, ci si deve affermare contro le comunità religiose. Ora,
combattere le manifestazioni dell’Islam in Francia, è per lo Stato francese riaffermare
il proprio potere e giustificarlo nei confronti di quello che presenta quale minaccia
per la sicurezza civile. Il velo sarebbe il segno dell’esistenza di un nemico politico
interno.
Di conseguenza, dal punto di
vista anarchico, mi pare che l’affaire del velo non debba essere visto come
l’opposizione fra anarchici femministi, da una parte, e anarchici antirazzisti
dall’altra. Ma deve rappresentare per
gli anarchici l’occasione di denunciare il sistema di oppressione teologico-politico.
Da una parte la religione,
in quanto sistema politico, vuole esprimere la propria influenza sui modi di
vita degli individui e in particolare delle donne, giustificando il sistema patriarcale.
Dall’altra lo Stato intende giustificare il proprio potere tramite la minaccia di
un partito straniero il cui marchio sarebbe l’Islam.
L’affaire del velo può allora
essere analizzato come rivalità fra due sistemi teologico-politici dei quali tuttavia
l’uno, l’Islam, appare come il sistema al quale alcuni oppressi cercano di
appoggiarsi per far valere le proprie rivendicazioni.
Anarchia, femminismo e
liberazione sessuale: Una terza controversia attraversa gli
ambienti femministi e anarchici, e riguarda la condizione di alcune attività quali
la prostituzione o la pornografia. Queste attività devono essere considerate forme
di sfruttamento economico-sessuale o come attività legate alla liberazione sessuale della donna? È assai facile, essendo
anarchica, eliminare due opinioni.
Da
un parte, quella che si opporrebbe alla prostituzione o alla pornografia nel
nome di un puritanesimo sessuale, posizione che si ritrova per esempio negli
ambienti cristiani. Dall’altra, è facile opporsi anche all’opinione che farebbe
della prostituzione, indipendentemente dall’analisi dei rapporti economici di
sfruttamento che possono esistere nelle reti di prostituzione o dalle
situazioni economiche che conducono le donne a prostituirsi, il modello per
eccellenza di relazione liberata da qualsiasi regola sessuale oppressiva: la
prostituzione sarebbe un lavoro come un altro in cui una donna può guadagnare
molti soldi tramite la sua attività sessuale.
Tuttavia
esistono posizioni più difficili da valutare. Per esempio, alcuni difendono la costituzione
di sindacati di prostitute, che avrebbero per obiettivo di permetterle di beneficiare
di uno statuto di protezione dei lavoratori/lavoratrici del sesso aspettando, forse,
l’abolizione della prostituzione. Altri affermano che la prostituzione non è diversa
dal matrimonio, nel senso che le donne si prestano, in entrambi i casi, a un’attività
sessuale contro vantaggi economici che gli procura il partner sessuale: quindi,
se nessuno pensa di abolire il matrimonio, perché si dovrebbe abolire la
prostituzione?
Ci
sono anche persone che difendono la prostituzione non come attività commerciale,
ma come un servizio di sesso pubblico, considerando il fatto che tutti dovrebbero
aver diritto a una vita sessuale gratificante, per esempio le persone
handicappate.
Altri
ancora vedono nella prostituzione il modo per una donna di disporre liberamente
del proprio corpo e di svolgere un lavoro che è in fin dei conti meno faticoso
della cassiera.
Che
cosa pensare di queste diverse affermazioni? Nella prima parte di questo
articolo ho sostenuto che l’anarchia deve organizzare una lotta che tenga conto
al contempo della dimensione economica, politica e culturale della situazione.
Se
analizzo la prostituzione da un punto di vista economico, è un dato di fatto
che non si tratta di una qualsiasi attività sessuale. È un’attività sessuale
remunerata. Ma non è esattamente questo che definisce la prostituzione. Chiamo prostituzione quell’attività per la
quale una persona assicura la propria sussistenza tramite l’attività sessuale.
Di fatto, esistono forme di prostituzione che non hanno una remunerazione monetaria,
come per esempio il matrimonio. Esistono anche forme di attività sessuale
remunerata che sono libertinaggio e non
prostituzione. Si tratta semplicemente di
soddisfare il fantasma di farsi pagare per un rapporto sessuale [19]. In quanto anarchici, siamo portati a
costruire una società nella quale non ci sarà sicuramente più moneta, ove il
lavoro sarà un’attività socialmente utile e ove tutte le attività umane non
saranno necessariamente attività commerciali.
Noi
speriamo di realizzare una società in cui gli individui siano il più realizzati
possibile, ove vi sia un posto reale per le attività che siano guidate dalla
ricerca del piacere che ci procurano. La prostituzione è compatibile con questa
concezione?
Se
ne può dubitare. In effetti, si può supporre che in una società anarchica non
tutte le attività diventino lavoro, ma che certe attività siano orientate solo
dal piacere che ci procurano. Possiamo immaginare che il fatto di passare del
tempo con un amico possa divenire un lavoro dal quale dipenderebbe la nostra sussistenza? La liberazione sessuale che vantano gli
anarchici consiste in qualsiasi tipo di rapporto sessuale? C’è un orientamento nella
concezione della sessualità che sia al contempo libertario e femminista?
Mi sembra che si debba
giungere a una situazione in cui la sessualità sia per la donna un’attività
unicamente orientata verso il piacere, e non sottomessa al piacere
del proprio marito, all’imperativo della riproduzione o al potere di chi
detiene il denaro o di chi può prenderla con la forza. La posizione politica che dimenticasse questo obiettivo non potrebbe
essere qualificata come libertaria o anarchica.
Di
conseguenza, fintanto che l’attività sessuale resta un lavoro per il quale una
donna o un uomo assicura la propria sussistenza, non si può dire che si tratta
di un’attività che lui o lei fa unicamente per il piacere. Certamente si può ricevere piacere
da un lavoro, ma il lavoro non ha come unica ragione il piacere, permette anche
di assicurare la sussistenza vitale degli individui.
Tuttavia,
è possibile pensare che effettivamente la prostituzione, in quanto attività
sessuale remunerata, in quanto lavoro che non si può confondere con il
libertinaggio o l’amore libero, non può essere immediatamente abolita. Non può
dopotutto essere, in una società capitalista, un lavoro che alcune donne
potrebbero preferire a quello di cassiera? Non si può migliorare subito la
situazione delle persone prostituite? A mio avviso, non si può non sostenere il
desiderio delle prostitute di veder migliorare la propria situazione, nella misura
in cui ogni donna, se la propria situazione materiale declina, può considerare questa
attività come mezzo di sussistenza. Ma
bisogna evitare di difendere rivendicazioni che sarebbero contraddittorie con
il progetto anarchico di società e che rinforzano il sistema capitalista e/o
patriarcale. Si tratta di rivendicare dei diritti che siano collegati agli
individui stessi: diritto all’abitazione, diritto a un lavoro remunerato in
modo decoroso, diritto alla formazione… Non
si deve quindi difendere uno statuto di prostitute o di lavoratori/lavoratrici
del sesso, ma diritti sociali collegati
a ogni individuo in quanto membro della società.
Note:
1. Vedere l’articolo di Anne
Steiner, De l’émancipation des femmes dans les milieux individualistes à la
Belle Èpoque, in Réfractions n. 24/2010
2. L’intersezionalità è una
teoria che analizza i fatti sociali incrociando un’analisi in termini di
genere, razza e classe sociale.
3. Bakunin, Dieu et l’État
(1882). Disponibile su: http://kropot.free.fr/Bakounine-Dieu-État.htm.
4. Irène Pereira,
Anarchistes, La ville brûle, 2009.
5. Gaston Leval, L’anarchie
et l’individualiste. Disponibile su:
http://kropot.free.fr/Leval-indivianar.htm.
6. Judith Butler, Trouble
dans le genre (1999), La découverte, Parigi, 2006.
7. Sébastien Faure, La
douleur universelle, Stock, Parigi, 1904.
8. Fra gli appartenenti a
questa corrente in Francia si può citare Elisabeth Badinter.
9. Vedere per esempio La
plateforme d’Archinov (1926), testo redatto da anarchici russi in esilio in
Francia dopo la
rivoluzione di ottobre, in
cui si analizza la sconfitta del movimento anarchico da parte dei bolscevichi,
come conseguente
alla mancanza di unità
teorica e di disciplina nell’azione.
10. Jacinta Rausa, Entretien avec Sara
Berebguer, http://increvablesanarchistes.org/articles/1936_45/mujereslibres_ sara.htm; Miguel Chueca, Mujeres libres, in
Réfractions, n. 7/2005. Vedere anche Martha Ackelsberg, La vie sera mille fois
plus belle. Les Mujeres libres, les anarchistes espagnols et
l’emancipation des femmes, Acl, Lione, 2010.
11, Louise Toupin, Les courants de pensée féministes (1998).
12. Murray Boockchin, Le
spectre de l’anarcho-syndacalisme, in Anarcho-syndacalisme et anarchisme, Acl,
Lione, 1994.
13. Questa corrente è
rappresentata da autori quali Christine Delphy o Monique Wittig.
14. Lesbiche, Gay,
Bisessuali, Transessuali e Intersessuali.
15. David Graeber, Pour une
anthropologie anarchiste, Lux, Montréal, 2006.
16. Vedere a questo proposito
l’articolo di Elsa Dorlin, Pour une épistémologie historique du sexe, in
Araben, rivista
on line del GREPH, vol. 3, 2006, Les receptions de la science,
http://greph.univ-lyon2.fr.
17. Vedere Ann Fausto Sterling, Sexing the body, New York, 2000. Per un interessante commento di un esempio
che
ha avuto una vasta eco
nell’attualità del 2009, ossia l’affaire Semenya: Bohuon, Caster Semenya,
l’incroyable athlète
qui bouleverse l’éthique
sportive. Disponibile su:http://www.mediapart.fr.
18. Nicolas Dot-Pouillard, Les recompositions politiques du mouvement
féministe français au regard du hijab, in SociologieS [on line]. Primi testi messi on line il 31 ottobre
2007. Consultati il 9 gennaio 2010. URL: http://sociologies.revues.org/index246.html.
19. Si tratta di un tipo di
rapporto che descrive per esempio Beatriz Préciado a proposito del suo legame
con Virginie Dépentes in Testo Junkie, Grasset, Parigi, 2008.