Vedo che si continua a fare confusione tra sistema
abolizionista e proibizionista, forse in malafede si attribuisce
all’abolizionismo la criminalizzazione tipica del proibizionismo. Cercherò di
fare un po’ di chiarezza.
Sistema
proibizionista: Consiste
nel vietare la prostituzione e nell'applicare
pene pecuniarie o detentive, alle prostitute in genere, in alcuni casi
anche al cliente. Sostenendo la necessità di tale norma, per tutelare in tal modo la morale pubblica. o la
dignità della donna.
Sistema abolizionista: Il sistema chiama lo Stato fuori dalla
disputa, senza proibire o regolamentare l'esercizio della prostituzione. Viene
perseguito solo lo sfruttamento il reclutamento e il favoreggiamento e attività affini.
Quindi nel sistema
abolizionista, contrariamene a quello proibizionista prostituirsi non è un
reato, anche se considerata attività non lecita.
Sistema regolamentaristico: La prostituzione non è libera, ne proibita ma
regolamentata.
Questo è un sistema teso a
regolamentare la prostituzione, con modalità differenti, tipo quartieri ,
bordelli, o altre forme che il mercato crea ed offre. In questo caso lo stato
considera la prostituzione un’attività lecita, e “liberamente esercitata”, un
lavoro su cui si paga regolarmente le tasse. Rimane perseguita la prostituzione
minorile, e in teoria rimane vietata qualsiasi forma di costrizione o
coartazione. In questo sistema, lo Stato stabilisce il come, dove e quando è
consentito o no, la prostituzione. In
più, lo sfruttatore, sarà un’onesto imprenditore, che potrà avere accesso a
mutui e finanziamenti vari, per poter reperire nuovi “prodotti” da inserire sul
mercato. È un sistema patriarcale, perché vede la donna come unica responsabile
della prostituzione. Capitalista, perché tende a creare sempre nuove forme di
sfruttamento e profitto sulle persone. Non abbatte lo stigma della prostituta
ma come detto precedentemente lo toglie solo al “pappone”.
Il sistema regolamentaristico è stato in vigore in tutta Europa occidentale
per più di un secolo, oggi conosciamo i livelli di ipocrisia e sfruttamento che
hanno rappresentato i “bordelli”. Negli
ultimi anni, si è fatta strada una certa letteratura, che ci parla con
nostalgia dei “bordelli”, leggende, che
narrano di una maggiore sicurezza delle donne, sia sanitaria che personale. Ma
sono gli uomini che ci raccontano tutto questo, sono gli uomini che hanno
nostalgia. La storia ci narra di donne; umiliate, sfruttate, spremute e
oppresse. Anche l’arte e la letteratura, quella vera, ci parla di altro:
Guy de Maupassant le rende eroine, (Boule de suif) e schiave. (La casa Tellier ) Henri
de Toulouse-Lautrec, descrive un’umanità dolente, sofferente e triste. Georges
Simenon (la neve era sporca) ci parla
del cinismo di un protettore, che seduce le ragazze allo scopo di mandarle a
lavorare dalla madre che è tenutaria di un “bordello”. Ma nessuno di loro, ci
parla di donne libere, realizzate e
sodisfatte nel loro lavoro.
Il sistema regolamentaristico,
è un sistema totalitario, che trasforma le donne, in prede e non lascia scampo,
non da la possibilità ne di ribellarsi ne di uscire da quella condizione, lo
sfruttamento viene legalizzato, sostenuto e promosso.
Ma la retorica borghese e
liberale, la considera come forma di “libertà”. La libertà di essere solo
schiavi.
Pubblico qui un estratto
di Irène Pereira sul “Lavoro e tempo libero” che potete trovare per intero qui:
http://femminileplurale.wordpress.com/2013/03/15/la-biblioteca-di-fp-capitolo-3/
“ […] Una delle poste in gioco delle lotte femministe è stata ed è ancora
quella di battersi perché la sessualità possa essere, per le donne, parte della
sfera del piacere e non di quella della costrizione; di fare in modo che la
sessualità delle donne non abbia come unico scopo il piacere degli uomini o la
riproduzione della specie, ma sia finalizzata al proprio piacere.
Ora: che cos’è la prostituzione? Un’attività
attraverso la quale una persona vende una prestazione sessuale per garantire la
propria sussistenza.
Lottare per far riconoscere la prostituzione
come lavoro, sarebbe allora:
1) Lottare per fare della sessualità non più
un’attività orientata al piacere, ma un’attività di sussistenza, vale a dire
appartenente alla sfera delle costrizioni.
2) Rafforzare questo movimento generale di
trasformazione delle attività di lavoro in tempo libero e delle attività del
tempo libero in lavoro a beneficio degli interessi di certe classi di individui
contro altre.
Così, certe persone, avvalendosi di argomenti
apparentemente umanitari, reclamano la fornitura di un servizio pubblico
sessuale per le persone diversamente abili. La loro argomentazione consiste
nell’affermare che la sessualità sia un bisogno vitale e che esisterebbe dunque
un diritto alla sessualità.
Nello stesso tempo, queste persone affermano
che le prostitute o le persone che dovrebbero assicurare questo servizio, lo
farebbero per scelta. Ma quando gli si chiede perché non dovrebbero farlo
gratuitamente, esse rispondono che in tal caso queste persone non
garantirebbero questo servizio. Di fatto, esse riconoscono che le persone che
assicurano un servizio sessuale pagato non lo fanno liberamente, ma per
necessità.
Ora: perché il cosiddetto “diritto alla
sessualità delle persone diversamente abili” sarebbe superiore al diritto ad
una sessualità che sia un piacere per le persone che effettuano prestazioni
sessuali?
In linea generale, mi sembra che le persone che
cercano di fare della prostituzione un lavoro giuridicamente riconosciuto
conducano una battaglia doppiamente sbagliata. Da una parte fanno, senza
accorgersene, il gioco del capitalismo, permettendo a questo sistema economico
di occupare ancora di più questo mercato ( sviluppo degli Eros Center).
Dall’altra parte, esse lottano per la colonizzazione, da parte del lavoro, di
ambiti dell’attività umana che non rientrano nel campo del lavoro. […]”