“il più bell’oggetto
di consumo.” Questa definizione delle
prostitute è di Charles Baudelaire, il
poeta Francese.
Non
voglio colonizzare nessuno, ne sovradeterminare nessuno, o sottodeterminare o
iperdeterminare nessuno, ma esprimere solo il mio pensiero, che è mio, parziale
e incompleto. E non ho l’arroganza
autoritaria, di essere l’unica ad avere un pensiero critico. Questo è solo
l’Ida-pensiero.
Mi
sono imbattuta nelle famose (quaranta ragioni) se non è lesa maestà, vorrei
fare alcune mie osservazioni.
Rinuncio
da subito a presentare un quadro obiettivo delle condizioni di vita, delle
prostitute perché non esiste obbiettività. Ogni donna, ogni vita, ogni corpo,
vive in modo differente la prostituzione, come una disperazione, una schiavitù,
una tristezza, abitudine e talvolta una scelta e forse piacere. Ma soprattutto
non ho la presunzione di conoscere la verità.
Le
quaranta ragioni, ci presenta una prostituzione romantica e festosa, gioiosa,
felice, avventurosa, seduttrice e
travolgente, che attrae, che affascina, ma che a me terrorizza. Penso che
non esista una prostituzione femminile,
veramente gioiosa, e se esiste, è un gioco vitale, sul sesso e denaro, elementi che
gravano sul loro destino. Sì, sono consapevole che il gioco è anche un elemento
dell’erotismo, forse è la componente essenziale, ma non il denaro. Sesso e
denaro si escludono a vicenda, si contrastano ma non s’incontrano mai. Il
denaro è un’astrazione, un simbolo, la prostituta, un corpo, una persona, un
individuo, con le sue frustrazioni, i suoi sogni, le sue amarezze e speranze
che diventa merce. Nel sesso il denaro
sancisce solo l’asservimento, perché stabilisce
nella transazione chi è il soggetto e chi è l’oggetto.
La
prostituzione resta il luogo dell’inquietudine, il luogo privilegiato del
desiderio maschile, oggetto di una scelta assoluta. La prostituta, non
sceglie è sempre scelta poiché
prostituta, per il suo essere arcaico e patriarcale di femminilità.
La
donna che invita all’acquisto di una prestazione sessuale a tutto sembra
alludere tranne che all’esplosione di un incontrollato godimento, la
prostituzione segue i tempi di
produzione e dello scambio, lo scambio sessuale di cui esplicitamente allude il
corpo femminile messo in vendita, sembra essere ben lontano dal narrare un
desiderio, ma solo un corpo ben definito e inserito nella società della
produzione e del consumo. Piacere per
gli altri e rinuncia al proprio.
Nella
prostituzione c’è una netta separazione di genere, pochissime donne riescono ad
avere l’accesso allo status degli uomini prostituti. Gli uomini prostituti,
(eterosessuali) hanno la possibilità e il privilegio dovuto al loro sesso, di
poter scegliere. Una libera scelta,
un “libero” gioco con il sesso e il
denaro, con ambienti e corpi da loro accettati e voluti, forse un po’
stagionati e non desiderati, ma
voluti. Sono cinici e volgari, perché
l’arte del mercato è cinica e volgare e
desidera solo corpi maschili ben dotali e merce di alta qualità. Il
prezzo del mercato della prostituzione maschile, ( da 800 euro in su) è
accessibile, solo ad una minoranza di donne, il prezzo della prostituzione
femminile è accessibile a tutti.
Solo
una minoranza di prostitute privilegiate, hanno il privilegio di
scegliere. La maggioranza delle donne
che si prostituiscono, non può scegliere il partner. La prostituta deve darsi a un corpo, ad
altri corpi, aprire le gambe con una successione senza scelta, per il denaro
che consegnerà al protettore, altro elemento essenziale che si nasconde , che
non si parla mai e rimane sempre dietro le quinte, “il protettore” o
“organizzatore di eventi”, come viene chiamato oggi quando il protettore si
trasforma in imprenditore, ma la prostituta rimane comunque sempre merce. (Qui sarebbe bene anche, vedere e studiare
l’evoluzione del “protettore” nel corso della storia, da padre, amico, marito,
amante a imprenditore. Ma il ruolo della donna non subisce nessun tipo di
evoluzione, era oggetto e rimane oggetto).
In
un punto mi trovo d’accordo, con le “quaranta ragioni”: le prostitute,
conoscono aspetti della vita sessuale maschile, inenarrabili, che nessun’altra
donna, moglie o compagna possono vedere e conoscere, uomini miserabili,
disgustosi e pietosi che non trovano piacere nel sesso, ma solo nella
rappresentazione del potere della loro virilità.
Ma
prendo un altro punto, quello che dice:” Si
ribellano contro leggi assurde, patriarcali, che negano il sesso e le
criminalizzano…...” Dimentica che la prostituzione stessa è il frutto del
patriarcato. Se non fosse così, avvalorerebbe la tesi del patriarcato che sostiene l’inferiorità
biologica della donna, e che in ogni donna si cela una prostituta in potenza.
Forse è questa l’opinione della nostra femminista? Non lo sapremo mai!
La prostituzione è un’offerta che il patriarcato fa alle donne a tutte le
donne, che può risultare conveniente per le donne, ma è un fenomeno
unilaterale, schiacciante, oppressivo, senza nessuna contropartita. Per secoli
se una donna rimaneva vedova e senza sostegno, o per avere un riscatto sociale,
il patriarcato le offriva l’unica possibilità; prostituirsi. Un lontano incantesimo, lega strettamente e
indissolubilmente, la donna al sesso, da come si veste a come cammina. Non si
può pensare di esorcizzarlo semplicemente con la provocazione, o meglio, con le cazzate!
Capisco
che siamo vicino alle feste, ma mi chiedo qual è il senso di questo regalo
(quaranta ragioni) che alcune donne
fanno al patriarcato? Un regalo commovente perché del tutto illegittimo e
immeritato, del tutto forzato al
dominio. Un regalo che queste donne pensano di offrire, con la segreta
genuflessione alla “fallocrazia”? Ma non
voglio parlare di quello che dice, non m’interessa sapere se aiutano o no la vecchietta attraversare la strada. Voglio
parlare di quello che “le quaranta ragioni” non dicono. E parlare delle scelte
delle privilegiate che lo fanno per “libera scelta”, vuol dire non voler vedere
quello che realmente c’è dietro la prostituzione femminile. qui, qui,e qui
La
prostituzione femminile, comporta quasi sempre la trilogia, prostituta,
cliente, protettore, è quest’ultimo che
forza lo scambio, e si appropria del profitto.
Dov’è la l’autodeterminazione della prostituta se ha un “contratto” che prevede e garantisce il
profitto a una terza persona, che prestabilisce, regola, ritualizza la modalità dello scambio,
determina la fluttuazione del denaro e del sesso? Lei subisce solo le decisioni
prese da altri.
Certo
il protettore non si prende tutto il denaro, ne lascia almeno quel necessario
alla sua “protetta”, che si trovi almeno in una posizione di privilegio rispetto alle altre donne per la quantità di
denaro di cui possono disporre, un maggior numero di cose da acquistare,
vestiti alla moda, una sicurezza materiale, un’illusione di libertà, che le
rendono doppiamente schiave.
Il
commercio della donna e del sesso è uno dei più fiorenti mercati mondiali.
Prolifera con vaste reti di comunicazioni, ha i suoi metodi di lavoro, e
manodopera specializzata, ha i suoi mercati i suoi centri, cammina parallela
allo sviluppo del capitalismo, sposta i corpi da un mercato ad un altro, li
sequestra, li uccide, li violenta e li
umilia, seguendo solo la
logica del profitto. Dov’è in tutto questo la libertà? Il capitalismo, spinge sempre più a parlare,
a mostrare a produrre, sempre più sull’immagine del sesso, sulla sua
espressione, tutto questo s’innesca una produzione di manipolazione
nell’immaginario delle persone. Riproducendo il sesso come merce e la sua
stessa repressione, in un pensiero totalitario.
Far diventare merce i corpi delle persone e rendere tutto questo
normale, rendere normale il rapporto del denaro con il corpo, quindi con la
stessa sopravvivenza, con lo scambio della vita stessa come una cosa donata,
pagata, meritata, guadagnata. Questa è
l’unica similitudine che esiste tra una donna che lavora alla catena e una
prostituta, lo sfruttamento.
Le
immagini sono di Henri de Toulouse-Lautrec. Chi meglio di lui ha amato e
conosciuto le prostitute? Ma gioiose e
felici, non ne ha rappresentate mai nessuna.. Toulouse-Lautrec, descrive un
illusorio benessere, dove si cela una società profondamente classista, un’umanità femminile dolente, sofferente e sfruttata, fatta di miseria e
precarietà.